mercoledì 30 ottobre 2019

Li Cheffi Stellati

Como che fue, che Frate Ugone, penitente errante, trovossi a rifoccilar lo corpo e rinfrancar le membra stanche, dopo uno lungo cammino, costretto a contrastar la barbarica «Setta de' li Cheffi Stellati», in A.D. MCCCLVI


Un dì che si chiosò, alfin di camminata,
io peregrino, approprinquommi «A LA TABERNA DE' LA BRACIOLATA».

Famelico lo corpo et anco lo palato,
co li calzar, deca e più miglia, aveo sì macinato.

E tosto spalancai, quell'uscio di locanda, urlando disperato:
"Orsù marrani, portuommi un po' di cibo e 'l vin che sie fruttato!"

Dal fondo de la sala, mi corre incontro omo, col dito serra bocca:
"Shhh! Fate silentium prego! Ch'esam ora ci tocca!"

Represso meo entusiasmo, mi silenziai austero,
poi sottovoce chiesi: "di qualo esam favelli, fellon d'un cameriero?"

"Ohibò... voi non lumate, chi sta fra i commensali?
O non riconoscete, lo vesuviano cheffo, barbuto fra i stellati?

Mea amebica reationem, a isso fece dolo,
"Est Principe de' cuochi, si chiam Cannavacciuolo"

"Ordunquo senti oste... se anco fusse 'l Christo,
tu porta meco sbobba, foss'anche pasta al pesto!"

Notato fue 'l trambusto, dal cheffo blasonato,
che lesto venne meco, cum piglium accigliato.

"Guagliò! - Ei disse, calando sua manata, sfondandomi la spalla -
Ricorda ch'anco l'oculo, bontade isso avalla.

Farò portare a te, filetto di libellula nostrana,
ch'adagierò su letto, di sedani frollati, di fine parmigiana"

"Vabbè - rispondo - accetto lo consilium e non scateno lagna,
anco s'oniricavo, di rimpinzarmi tosto, co 'na bella lasagna"

Poi poscia, tutti applaudono: la sala s'entusiasma,
mi piazzan piatto enorme ma... 'l cibo est fantasma!

Sarà puro uno piatto, d'arte et fantasia,
però a me ricorda, tributo a carestia.

Co' ipocrito sorriso, guadagno la sortita,
andrò cercando sito, con mensa più assortita.

Fortuna mi sorride, ho pochi passi fatti,
uno cartello dice: «A LA TABERNA DE' L'ABBONDANTI PIATTI»

"Deo Gratias! - esclamo, pregno di speranza -
Ordinerò seduta stante, un fritto di Paranza"

E appen mi fui seduto, oniricai fumanti decin d'arrosticini;
Arrivan impiattamenti, cum microbici assaggini.

Vabbè, mi dico, saranno puro inezie, ma almeno fanno massa,
et come adagio cita: «Est Summa A Facer Cassa».

M'arriva un capellone, cum pizzo et coll'occhiale,
mi porge taccuino, con facer naturale.

"Ristoratori! - lo D'Artagnanno esclama -
Et or darete voto, ad ogne mesto assaggio, che s'odi o che si ama.

Un voto pe' lo loco et un pe' lo servizio,
poi uno pe' lo cibo: toglietevi ogne sfizio!"

Così p'ogni boccone, devo juditio esprimere,
li sfizi si raffreddano et rabbia vo' a reprimere.

Alfin mi scasso entrambi, rigonfi zebedei,
e sorto si furente, biastimio tutt'i dei!

Arranco in su la via e temo dijunare,
 se non ci stace abbacchio, mi vado ad abbacchiare.

Ma quando speme mea, fuggita fue in esilio,
ecco 'ntravedo carri, et carri... e ancora carri, riunitisi a concilio.

«LOCANDA PE' LI COCCHIERI ERRANTI.
QUINE PECUNIA POCA, MA PASTI SI ABBONDANTI»

M'importa 'na stracippa, d'intingoli o salsetti,
voglio gustar sapori, tradizionali et schietti.

C'è tavola 'mbandita, piena d'arrosti et primi,
jocondo mi c'avvento, pe' divorà mangimi.

"Aho! Fratè! Mo che te voi 'nventà?
- mi stoppa uno romano, tatuato sanza età -

Io sò lo «Cheffe Rubbio» e assaggio tutto io,
si poi voi fa' lo splendido... pagame er conto mio!"

Ormai affranto e tristo, ritorno in su la via,
co la mania de' cheffi, nutrirsi est agonia.

Così non uso cefalo, e un «fasfuddo» infilo,
m'abbofferò di schifo, ingrasso oltre un kilo.

Amburgo et patatine, alfin prendo 'n consegna,
meo fegato si lagna, m'almen qui pace regna.

Or proprio sul più bello, la senape mi gusto,
m'inquieta la presentia, su spal di bellinbusto.

Mi fissa co' suoi oculi, lucìdi et spiritati,
favella coll'accento, de li Uniti Stati.

"Vuoi che muoroooo! - esclama inorridito -
Amburgo è Very Americano Food, che te prende co' tuo dito?!"

E' allor che io remembro, non sono più ciecato,
financo al «Mecc-Donaldum», m'han teso i cheffi agguato!

Così m'accendo d'ira, mi piglia foco 'n viso,
patientia mea emigra, et la pietate ho ucciso.

Estraggo lo meo amburgo, com spada dalla roccia,
lo scaglio a lo Bastianich, su sua pelata... boccia!



Poesia anisosillabica in rima baciata
© Copyright 2018 - Fabrizio Manili‎

sabato 31 agosto 2019

Madama Pina

San Silvestre A.D. MMXIX
  

  
Or s’era in Anno Domini, Duemiladiciannove,
in loco d’un castello, in parco sì soave.
In terra de lo Abbruzzo, bussaro a lo tal sito,
un’orda di romani, ch’aveano appetito.

 Or oltre il levatoio, si sporse Madam Pina:
“Chi est che bussa a st’ora? co’ in bocca l’acquolina?”
Rispose l’orda in coro, sognando pane e salame:
“Veniam da Caput Mundi: teniam sì tanta fame!”

La Pina ci pensotte, si ricordò gli allori:
sua mente elaborotte, menù pe’ gran signori.
“Or piglio ova cento – propose epicamente –
E tosto vi preparo, fettuccia sì fumante.

Poi la condisco est ovvio, lo sape anco a Nuoro,
cum funghi trifolati, succosi pomidoro.
Aggiungo spezie rare, segretum de’ miei avi,
trasformerò i sapori, in docili miei schiavi.

Or mentre declamava, con aulico et sommo patos,
sue mani laboriose, avean già impastatos.
De la fragranza ovica, si spande già l’aroma,
mandando tutti in estasi et forse anche ‘n coma!

L’Augusto omo svenne, al luculliano editto
e venne rianimato co ‘n po’ di guancialetto:
“Chi sie tu Madonna? Madama da sposare!
Abbacchi a scottadito, son qui che vo a sognare!

Or dimmi orsù, mea Pina! Io devo affrontar pugna?
Mi rifarò est chiaro poscia, cum pane intinto in sugna.
Et quando dopo l’alba, io mi sarò levato,
titillerò palato meo… Deh! Co’ avanzo riscaldato.

Poi espierò peccati, facendo somma dieta,
cum pane secco, acqua e solo un po’ di bieta.
Al limite arricchisco lo tuo gran minestrone,
cum pasta et li fagioli, più ‘n bello scalognone”

“AARGH! – La Pina sì furiosa, s’armotte a forchettone –
Che odon le mie orecchie! Mi piglia convulsione!
Fellon d’un cavaliero! Tu questo mai farai!
Non t’inventar miscugli, né scempi, No! Giammai!

Lo minestron si gusta, così: con sua ricchezza,
mentre fagioli et pasta, da soli sono ebbrezza.
Et come in un dipinto, bellezza di colori,
anche cucina est arte... De’ italici sapori!”




Poesia anisosillabica in rima baciata
© Copyright 2019 - Fabrizio Manili‎

lunedì 17 dicembre 2018

Li doni natalizi

Como che fue, che Eusebio da Civitella, rimediossi alla regalia fora da lo tempo massimo a la preparatio, prima di recarsi a la cena de lo Santo Natale in sua familia, in A.D. MCCVI


Profumi assai inebrianti, li culla in alto ‘l vento;
or l’homo si riposa: finito ormai l’avvento.

Son tutte colorate, le luci alla vigilia
e tutti si preparan, a cena di familia.

L’odore de lo muschio, si sparge pe’ le strade,
anco li più distratti, avvolge e dissuade:

che nasce in una grotta, Iddio nostro Signore,
(…Oh Cacchium!...)
Pe fare ‘sti regali mi restano du’ ore!

Affretto lo meo passo, mi lumo un poco intorno,
botteghe stan serrando, finito è ormai lo jorno.

Potessi almen trovare, lo voglio ancor sperare,
commessa di LIMONIUM, che stace a sistemare.

Rinunzio a risparmiare, pazientiam s’è ‘n po’ cara,
qualsiasi sciarpettina, trovossi operta ZARA!

Poi noto assembramento, sono genti e sono tante,
son fora da TEZENIS, invocano mutande.

«UPIM major, minor cessat»
Ricordo saggio adagio, rinunzio a fare ressa.

Allora corro a casa, balena in me ideona:
ho dono ancora «in carta»: farò ‘na figurona.

Lo cerco in sgabuzzino, et spero di trovare,
così dono riciclo; lo puoto sbarazzare.

Alfin sbuca lo pacco, nascosto dietro al sale,
esulto et mi compiaccio: trovata originale.

Mi vesto e mi preparo, or sì che sono quieto,
nessuno sgamerà, meo piccolo segreto.

La notte di Natale, regala mille stelle,
retorna la laetitia, s’impregna ne la pelle.

Son junto a la magione, di cena familiare,
scuotossi battiporta, ho fretta d’abbracciare,

la nonna et mea sorrelam, insieme a lo marito,
“Avanti che si fredda! C’è abbacchio a scottadito!”

Oh! Notte Jubilata! La gioia è ora Magna!
Si joca, ride e scherza, ma soprattutto qui… se magna!

Poi alfine junse tosto, l’atteso bel momento,
dei doni sott’abete, principia scartamento.

Son fiero, trepidante, non stoce più ‘n mea pella,
voglio veder sorpresa, la mater mea più bella.

“Che ricevesti nonna?”, lei gratta la sua capa:
“Ciavatta pon-ponata, cum faccia de lo Papa…”

“E al nonno incontinente?”, scontato fu ‘l pitale,
che sotto la minzione, suonea «Bianco Natale».

“E al monaco zi’ frate, de la familia ‘l dotto?”
Un libro è semper utile, per farci un pistolotto!

«Eretici e scismatici, le mille e più ragioni,
per appicciar lo foco ai, Geoviani Testimoni»

Fra berrettini rossi, guantin mal’appaiati,
co’ sciarpe e co’ maglioni, con alci stampigliati,

or junto est lo momento… scarto regalo meo,
in questo bel Natale, del MilleDugendoSeo!

“Per mater mea io abe, un dono milionario!”
Mostrossi con orgoglium… ZINAL CUM CALENDARIO!

…MA…

Sol quando io mostrai, a tutti strofinaccio,
m’accorsi che la mater, rimase lì di ghiaccio:

mi resi conto tosto, d’aver sciupato stima,
perché lo calendario… ERA DELL’ANNO PRIMA!



Poesia anisosillabica in rima baciata
© Copyright 2018 - Fabrizio Manili‎

mercoledì 5 dicembre 2018

Lo Centro de lu monnu

La veritate su la historia de lo sito di Ponte Cardona, in quel di Narni, in A.D. MCCCI


Or s'era in Anno Domini, milletrecentouno,
quand'ecco palesarsi, viandanti contrari a lo digiuno.

Accorsi furon tosto, a Narni qui lo dico,
pe' defendir l'honore, de italico ombelico.

In Rocca d'Albornoz, prestaro juramento,
ch'avrebbero pugnato, contr'ogne mentimento.

Lo periglios sentiero, innanzi essi est muto,
pregno d'usurpatori, ch'avrebber combattuto.

Si misero 'n cammino, sì colmi di speranza,
che a fin de' lo percorso, riempir poter la panza.

Appena pochi passi, quand'ecco lì apparire,
un'orda di sabini et contra lor 'nveire.

"Sol Rieti est centr'Italia, non fate joco baro,
qui est periferia, che manco giù 'l Quadraro!

Volaro bastonate, ferale fue la pugna,
s'oprirono capocchie, in due come 'na prugna.

"Fermatevi voi tutti, sia l'arme ammutolita,
troviamo due campioni! Disfida sie chiarita"

lo disse sanza indugio, lo cavalier fedele,
vassallo de Pometia, si noma Emanuele.

"Proposta ci titilla, - lo reatin respose -
schierate vostri militi!" così isso propose.

S'avanza una donzella, vegan di pastorizia,
madama di Ciampino, suo nome est Patrizia.

Prosegue 'na fanciulla, est presa d'euforia,
ei guida forestieri, si chiama Anna Maria.

"Lo cendro stace in Rieti, et ite a misurare!"
esordia lo sabino, volendo argomentare.

"Dipende indove lumi. - replic'Anna Maria -
est solo la peninsula, non poi arrivà 'n Turchia!"

"E tutte nostre insule?! - rintigna lo sabino -
non son possedimenti, di tutto 'l popolino?"

"Penisola geografica, dico stà cosa sola...
- replica Patrizia - e tu non fare «il sola»!"

A corto d'argomentum, sabin si dileguossi,
armata poi riprese, lo valicar de' dossi.

Or junti 'n mezzo a bosco, da retro fè assaltati,
mimetizzati et strani, sicari folignati.

"Lu cendru stace in Umbria, ma solu su a Folignu,
arrenneve duvete, a nostru veru regnu!"

Or, nom non tragga 'nganno, s'incazza cum fervore,
la Candida madama, d'Abbruzzo cum furore:

"Che stace ad blaterare? Non sape misurare?!
Prima d'oprire bocca, fa' 'l cefal funzionare!"

"Dimenticate l'Alpi, co' nu golpo de' mano?
Che v'addimenticaste, che c'è puro Bolzano?"

"Ma chilli so' italiani?! Uheee! Che dici mai?!
E parlan puro crucco, nordici semmai!"

L'azzitta et li schernisce, non est certo padana;
vera napulitana, suo nome est Fabiana!

Ripreso lo cammino, son tutti stanche dentrum,
et junsero financo, a lo agnognato centrum.


Deh!! Ma cosa vedon oculum! Il sito l'han bloccato!
Gli eretici orvietani, l'ha preso et occupato!

"Non passerete, none! - alterca lo nemico -
solo in Orvieto alberga, l'italico ombelico;

l'Italia est fatta (ovvio), di Alpi e di Bolzano,
di Nizza, di Savoia: così cogito sano!"

"Bocciato 'n Geografia! Somar, tu sei 'na frana,
lo redarguì la prof., suo nome est E-Liliana.

"Se non sortite tosto, da sito de' italiani,
vi mando un'ingiunzione, co' la cartella Armani!

Ha 'l saio di Vuitton, e 'l pastoral di Prada,
giammai si contraddica, Agnese l'avvocata.

L'orvietici scapparo, dal centrum di natione,
et principiò la festa e tutto andò benone!

...POI...

Su strada di retorno, tutt'ebbri di sollazzo,
(Gian) Carlo Magno (et beve), incrocia uno vecchiazzo;

lo volle provocare, su ghigno mette passio,
co' domandon ferale... solo pe' «rompe er cassio»

"Oh villico narnense, accetto l'evidentia,
lo centrum isso est, si puote far sententia:

c'è 'n traffico qui 'n centro; me pare via Cavour.
Ce sta più folla quine, che ar firme de «Ben Hur»!

Cortei co l'adunanze, sciopéri et maratone;
corse deviati ai carri, ce stanno sur groppone!

Pe nun parlà der blocco, dei carri a li festivi...
Aho! Nun me fa' offenne i morti, ma solo quelli vivi!

Et quindi ho 'na domanna, et vojio ire a fonno:
Se questo è 'r centr'Italia, che centra mo' 'sto «monno»?"

Lo vecchio è gonfio tutto, somiglia ad un pallone,
solleva minaccioso, nodoso suo bastone.

"Bardascio 'ngnorandello, l'Italia EST «centromonno»,
et lo sapea puro, por'anima de' nonno!

Mo l'hai capito dunquo? Li fai girà i neuroni?
Se voi campà cent'anni, nu rompe li... maroni!"



Poesia anisosillabica in rima baciata
© Copyright 2018 - Fabrizio Manili‎

venerdì 27 aprile 2018

De Italicae Migratione

Como che fue, che la juventude emigrossi a settentrione de lo continente per travagliare, in A.D. MCCCLVII

...et lo ringratiamento va al circulum Bel-Ami, che si sorbisce irenico, il favellare meo! 

Miriamo juventude, migrar a lidi nordici,
son biologi, ingegneri, anco metalmeccanici.

La «fuga de’ li cefali», italicum flagello,
espulse su in Olanda, jovine sì bello.

Mestiere rimediotte, quel maschio di Crotone,
magion sì dignitosa et anco magno amore.

«Che mi raggiunga mamma, m’ammiri sistemato;
presento mea metà, che ier mi son sposato!»

Lo viaggiator piccione, portò novella bona,

la mater calabresa, sortitte all’ora nona.

Lei su lo carro, oniricò la nuora bionda,
mentre sfornava bimbi, a frotte como l’onda.

Et quando tosto junse, a casa di suo figlio,
avea fila di pacchi, longa almeno un miglio.

Di ’ndujam portotte, appena cento libbre:
usava l’alimento, per far calar la febbre.

Mille peperoncini, conserve di passata;
sottolium, cefalcollum et trenta kilogram di soppressata.

«Indove stace? Orsu! Consorte ingravidata?
Portala meco, ch’ho raccomandatio sì accurata!»

«Oh mater, non stai pe’ diventare nonna...
nommessere!
 L’amore meo est in uffizio e torna all’imbrunire»

«Allora, mentr’aspetto tua madonna, principio
l’ispetione,
voglio notar se nibelunga, mestiera la magion cum
deditione.

Se onora cum respecto, lo figliolo meo,
se a li fornelli est, Giulietta schiava de lo suo Romeo»

Et fu’ cosine, che dopo longo tempo di rassegna,
madama decretò: “ordine et pulitia, quine ovunque
regna!”

«Ordunquo filii! Describis barbarica tua donna,
se abe pantalonibus, o pur se ‘ndossa gonna.

Se verdi ha l’oculari bulbi, se tien capelli d’oro,
se appen diviene mater, lo lascerà ‘l lavoro»

Lo maschio calabreso, cum espressione cupa,
appropinquò la mater, a mettersi seduta.

Per dirle che ‘l suo amore, avea la derma scura,
veniva da Cartagine, cum riccia acconciatura.

E prim che a la tapina, venisse una paresi,
ch’avea la forza fisica, de’ camalli genovesi.

Le disvelò poi ‘l nome, che non portava i tacchi,

m’avea maravigliosi, longhi et lucidi…
MUSTACCHI!


Poesia anisosillabica in rima baciata
© Copyright 2018 - Fabrizio Manili‎

venerdì 21 ottobre 2016

Lo Follettoso Monte

Como che persi lo senno de lo cefalo, giacché io m'imbattei ne li folletti mostruosi de lo monte, alquanto fastidiosi et anco assai pugnaci, in A.D. MCCCLVII (1)




Lo incontro primo.
De la coscientia volgata innanzi a lo crocevia
 
Principio meo cammino, da «Juventude Rocca»
et giungo dopo poco, a via che 'n due si spacca.
Mentre la scelta cogito, cercando orientamento,
uno folletto appare, Così... in un momento!

Sobbalzo di spavento: 'ndo «augello» sbuca questo?!
Ma 'l piccolo esserino mi sbarra 'l passo lesto.
"Tu firma quine ora! Se sei contro la droga"
Proclama eppoi mi porge inchiostro e penna d'oca.

Io pergamena firmo, preso di contropiede,
non oculo contrattum, da cui non si recede!
Ho appena ipotecato, casale di campagna,
ma in cambio ho ricettarium, per piatti di gramigna.

Appen che io realizzo, voglio agguantare 'l losco,
ma 'l venditor folletto si dileguò nel bosco.
Ripresi lo cammino, seguendo la sinistra,
metabolizzo imbroglio e ‘ngoio sta' minestra.




Lo incontro secundo.
De li ampi spazi ne la comunicatio

Poi passo dopo passo, alfin in spiazzo giungo:
"Bellezza strepitosa or l'estasi raggiungo!"
Et mentre sono assorto in tanta maraviglia,
ecco sbucar dal nulla, minuscola canaglia.

"Salute a te, messere! - esclama sorridente -
meo nome est Vodafonio: ho offerta strabiliante!"
"No gratiam... non importa. - lo provo a sbolognare -
Tengo boni piccioni che sanno ben volare"

"Orduque ne deduco, che sie soddisfatto..."
"Sì, sine, certo!" risposi pensando al mio attual contratto.
"Orbene: col «Sì» che favellasti, offerta hai attivato!
Per sol cento ducati, hai mille e più piccioni! Oh omo fortunato!"

Ancora frastornato, pensoso m'allontano
et realizzo dopo, che m'ha fregatum 'l nano!
Riprendo meo cammino, pensando a quel maiale!
M' assale rabbia in corpo: voglia di bestemmiare!




Lo incontro terzo.
De la sosta in su la cima

La via che mi si opre, est tela di pittore,
cum rovi in abbondantia, di nere e rosse more.
Lenisco la mea rabbia, scorpaccio frutti di bosco,
riempio lo meo ventre, doman poi dimagrisco...

Alfin arrivo in cima, al monte Follettoso,
mi godo l'ampia vista, silente et religioso.
Ma, ohibò m'appare innanzi, omin cum cappellino,
ha barba, sguardo arcigno et nullum di carino!

"Per quanto qui sostate? - domanda a palmo teso -
sganciate un deca in scudi, per lo parcheggium preso"
"Vi do' quand'è che sorto, - mi tasto la saccoccia -
cambio le banconote: non ho moneta spiccia"

"Si paga qui in anticipo... dottò nun fa' 'l furbetto"
est rude et fa 'l cattivo, quel mostro di gnometto.
"E trovalo sto deca! - il bruto mi minaccia -
sennò te rigo tutto, compresa la bisaccia!"

Ingoio prepotentia et sgancio più d'un deca,
ho rovinato umore, ormai mea lingua impreca.
Mugugno fino a valle, fortun ch'è ancora jorno,
or cerco indicatione, pe strada del ritorno.




Lo incontro quarto et ultimo.
De la ritrovata via de la salvezza e de lo senno

Consulto una palina, piena di diretioni,
ma ecco alle mie spalle, geoviani testimoni!
Son sorridenti e 'n coppia, li gnomi cravattati,
mi sbatton fra le mani, opuscoli intristati.

"Cerchi la via che alla salvezza porta?"
uno dei due millanta voce prufunda et certa.
"No, io cerco lo sentier che mi porta 'n paese"
rispondo esasperato cum tono assai scortese.

"Voli raggiungere loco, che di Geova est lo regno?"
domanda allora l'altro, cum viso assai benigno.
Et fue line! In quello istante, che di mea patientia, traboccò lo vaso!
Allora principiai ad imprecare et blasfemare, sì como un invaso!

"Et porcum line! Et porcum giune!",
la mea favella non risparmiò nessune,
et nominossi arcangeli, madonne et anco santi,
non mi dimenticai nessuno, ne ricordavo tanti!

Finché, affranto e disperato, scesi ancor oltre la stradina,
et invocai la gratia a Nostra Mater Dei Virgo Regina.
Miracolo! La madonna sì! Mi fece gratia grande tanto!
Et io per penitentia, promisi di comprar online soltanto!

________________

(1)Il Monte Follettoso deve il suo nome ad un’antica leggenda popolare. Si narra infatti che, fra il XIII e il XIV secolo, durante una passeggiata fra i sentieri della zona, uno dei giovani rampolli della famiglia Orsini di Roccagiovine, venne talmente infastidito da alcuni folletti, che da sempre vivono fra i rovi del monte, fino a diventare un pazzo bestemmiatore. Solo l'apparizione della Vergine Maria, riuscì a redimere il giovane Orsini, il quale, in segno di riconoscenza e devozione, eresse la chiesetta della Madonna dei Ronci, di cui oggi restano soltanto alcuni ruderi.
A inizio ottobre 2016, durante un'escursione perlustrativa sul Monte Follettoso, ci siamo imbattuti per puro caso, in un vecchio ma eccezionale manoscritto, redatto molto probabilmente dal giovane Orsini protagonista della storia. Questa preziosa testimonianza storica, descrive, con un'incredibile dovizia di particolari, tutta la drammatica esperienza di quella leggendaria passeggiata fatta di visioni e incontri mostruosi.

Un ringraziamento particolare va a Sabina Bonini per i video che ha realizzato.


Poesia anisosillabica in rima baciata
© Copyright 2016 - Fabrizio Manili‎

martedì 14 giugno 2016

De la finale giostra de lo corso peregrino

Como che fue, che li allievi de lo corso peregrino in su naturae, affrontaro la feral prova finale, in A.D. MDXVII



Nel mezzo del cammin di nostro corso,
fummo condotti presto, ne la patria ch'è de l'orso.

Lo professor che de lo rex felino tiene nominatione,
condusse la masnada, a la final certificatione.

"Si voi volete - ei disse proclamando cum trasporto -
che lo juditio sia clemente, ne lo meo rapporto,

mirate oltre le cime, alzando tosto vostri sguardi
et ditemi, cum sicumera teologale, quanti saran ne 'l parco tutti li cardi?"

Or, nonostantia la temperatione fusse oltre li gradi trenta,
lo gelo fra l'astanti improvvisamente aumenta.

"Deh! - riprese isso - Ordunque favellate mei soldati,
non indugiate oltre et rispondete ora, sanz'avvocati"

"Mi par di rimembrar, - respose una pulzella -
che forse son dugento, assisi vicino a una betulla"

"Ma come son dugento! Ma cosa dite!
Se pur non lo sapite, almen lo percepite?

Mirate indove il sole, sorgiva benedetto,
est chiaro, serve alla conta, in modo sì perfetto"

"Io cogito e rimugino, l'arcan puoto svelare,
son cinquemilatredici, li cardi a calcolare!"

"Chi est che favellotta! Desnudi lo suo volto!
Non abe alcuna rimembranza, omo colto!"

"Io son colui che erra, como un'infiltrato,
anonimus viandante, dal volto camuffato"

"Or che ci cogito! - un altro omo fece commento -
Costui è nomato «Fabris», da verdonian riferimento"

"Et sie! Dicite ordunquo indove andremo fatigando,
et siate condottieri, di meco et de lo meo secondo.

Decisionate presto orsù! Chi est fra voi che vi comanda?"
Recise breve, colui che abe nomatione d'autor de la Joconda.

Principia dunque presto, l'escursus 'n mezzo ai boschi,
pestando strade et ponti et anco accarezzando muschi.

Fondamentale fue, l'orientativa «urletta»,
de l'isoipse multiple, de la madam roscetta.

Alfin dopo le argute et magistrali sì illationi,
tornaro tutt'in magione, sognando maccheroni.

Sol uno! Brancaleonesco anarchico, tanto 'ndisciplinato,
non si trovava piune... 'ndo cazzo sarà 'nnato?!

Or la leggenda dice et narra ad oggi ancora,
che 'l suo ramingo spirito, aleggia ad ogne ora;

Ei erra sanza meta, ancestro montanaro,
chiedendo a li locali: "Est questa diretione, pe lo Monte Amaro?"


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